IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza all'udienza  del  19  dicembre
 1997  nel processo a carico di Strumiello Donato, Baldassarri Marco e
 Casini Giacomo.
   Visti  gli  atti  del  processo  a  carico  di  Strumiello  Donato,
 Baldassarri  Marco  e Casini Giacomo imputati del reato di bancarotta
 fraudolenta patrimoniale e documentale commessa in  concorsa  tra  di
 loro,  rilevato che, essendo contumace il Casini, il p.m. ha chiesto,
 alla udienza del 17 ottobre 1997 la acquisizione  per  lettura  delle
 sue dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari (verbale
 del  4  maggio  1993  dinanzi  alla  p.g.  delegata dal p.m.) e che i
 difensori  degli  altri  imputati   non   hanno   acconsentito   alla
 utilizzazione di tali dichiarazioni nei loro confronti, cosicche', ai
 sensi  dell'art. 513.1 cpp., quelle dichiarazioni sono inutilizzabili
 nei riguardi dei coimputati Baldassarri e Strumiello; rilevato che le
 dichiarazioni del Casini, dipendente  della  S.r.l.  Kovest  fallita,
 appaiono  rilevanti  sotto  il  profilo  probatorio  nel  giudizio di
 responsabilita'   dei   coimputati    Baldassarri    e    Strumiello,
 amministratori  di  diritto  della  societa' in momenti diversi della
 fase conclusiva della sua vita; rilevato che il p.m. ha  chiesto  che
 venga  sollevata  la questione di incostituzionalita' dell'art. 513.1
 cpp e che le altre parti hanno concluso  in  senso  opposto,  osserva
 quanto segue.
   E'  applicabile  al  caso  di  specie  l'art.  513  cpp  e, non, la
 disciplina transitoria prevista dall'art. 6.1 della legge n. 267  del
 7  agosto 1997, giacche' il decreto di rinvio a giudizio e' anteriore
 alla data di entrata in vigore della legge, e nemmeno quella prevista
 dall'art. 6.2, atteso che non ricorrono le condizioni  ivi  previste,
 nel  senso che alla data di entrata in vigore della legge il giudizio
 era si' in corso, ma non era stata ancora lettura delle dichiarazioni
 predibattimentali dell'imputato Casini, contumace.
   Cio' premesso ritiene il tribunale non manifestamente infondata  la
 questione  di  incostituzionalita'  della  disposizione sotto diversi
 profili.
   Per valutare la questione occorre riferirsi ai  principi  applicati
 dalle sentenze della Corte costituzionale n. 254 e  255 del 1992.
   Con   la  prima  sentenza  la  Corte  dichiaro'  la  illegittimita'
 costituzionale  dell'originario  art.   513.2   cpp   rilevando   una
 irrazionale  diversita'  di  disciplina della prova in casi simili, a
 seconda che si fosse proceduto, nella stessa situazione di fatto, con
 processo cumulativo  o  con  processi  separati;  infatti  in  questo
 secondo  caso la disciplina della utilizzabilita' delle dichiarazioni
 predibattimentali di chi, avendone la facolta',  non  si  sottoponeva
 all'esame  era,  senza  alcuna  ragione,  piu'  restrittiva di quella
 prevista per il processo cumulativo.  Nel modificare  la  disciplina,
 il legislatore ha reso omogenee le due norme prevedendo, in sostanza,
 che  nel  processo  cumulativo  cosi'  come  in  quelli  separati  la
 utilizzazione di quelle dichiarazioni e' consentita solo se vi e'  il
 consenso   della  parte  cui  il  contenuto  delle  dichiarazioni  si
 riferisce:   poiche',    nel    primo    caso,    la    dichiarazione
 predibattimentale  di  ciascuno  degli imputati, che si avvalga della
 facolta' di non sottoporsi all'esame, non puo' non  essere  letta  si
 prevede  un  divieto di utilizzazione nei confronti degli altri senza
 il loro consenso; nel secondo caso, senza tale consenso,  il  verbale
 delle   dichiarazioni   predibattimentali  non  puo'  nemmeno  essere
 acquisito per lettura e non entra nemmeno a far parte  del  fascicolo
 del  dibattimento.   Si tratta di modalita' tecnicamente diverse, con
 uno stesso sostanziale  risultato.  In  realta',  ad  un  esame  piu'
 attento,  (lo  si rileva solo in via incidentale giacche' il caso qui
 non  ricorre)  non  sfugge  una  residua  diversita'  di   disciplina
 giuridica,  per  i casi simili del coimputato divenuto irreperibile e
 dell'imputato in altro procedimento connesso o collegato che si trova
 nella stessa situazione sostanziale e che, quindi,  non  puo'  essere
 esaminato  per  fatti  imprevedibili  al momento della dichiarazione,
 giacche',  nel  primo  caso,   per   la   utilizzazione   delle   sue
 dichiarazioni  predibattimentali  occorre  comunque il consenso delle
 altre parti e, nel secondo caso, si puo'  dare  comunque  lettura  ex
 art. 512 cpp.
   Stante,  quindi,  la  attuale  identita'  di  disciplina  (salva la
 particolare  eccezione  or  ora   rilevata)   la   dichiarazione   di
 incostituzionalita'  dell'originario art. 513.2 cpp non ha di per se'
 rilievo. Peraltro nella sentenza  n.  254  del  1992  la  Corte,  pur
 dovendo  esaminare  la  questione  sotto il profilo della irrazionale
 diversita' di disciplina per  casi  identici,  ha  individuato  nella
 esigenza  di  evitare la "perdita, ai fini della decisione, di quanto
 acquisito prima del dibattimento e che sia irripetibile in tale sede"
 un principio processuale penale di rango costituzionale,  cui  quindi
 il  legislatore  si  deve  attenere,  pur  dovendolo contemperare con
 l'altro principio-guida del processo, quello della oralita'  e  della
 formazione   della   prova   la'   dove  si  realizza  pienamente  il
 contraddittorio, nella sede dibattimentale.  Questo principio,  cosi'
 individuato, e' stato poi precisato dalla Corte nella coeva sentenza,
 relativa  alla  questione  di  costituzionalita'  dell'art. 500.4, in
 materia di esame testimoniale. In quel  caso  e'  stato  il  criterio
 fondamentale    su    cui    si    e'   fondata   la   pronuncia   di
 incostituzionalita', cosicche' e' utile ripercorrere il  ragionamento
 della Corte.
   In primo luogo si afferma nella  sentenza  che  "fine  primario  ed
 ineludibile  del  processo  penale non puo' che rimanere quello della
 ricerca della verita'" ("e' appena il caso di ricordarlo",  soggiunge
 la  Corte  e  l'inciso e' molto significativo dell'importanza di quel
 principio, della sua immanenza  nel  processo  penale  tanto  che  e'
 sufficiente   solo  accennarne),  cosicche'  "l'oralita',  assunta  a
 principio  ispiratore  del  nuovo  sistema,  non  rappresenta,  nella
 disciplina del codice, il veicolo esclusivo di formazione della prova
 nel  dibattimento",  "di guisa che in taluni casi in cui la prova non
 possa, di fatto, prodursi oralmente e' dato  rilievo,  nei  limiti  e
 alle condizioni di volta in volta indicate, ad atti formatisi prima e
 al di fuori del dibattimento".
   In  secondo luogo si evidenziano tutti gli istituti processuali che
 applicano il principio di non dispersione dei mezzi di  prova  e  che
 derogano chiaramente al principio della oralita' e della immediatezza
 dibattimentale,  che  (continua  cosi'  la  Corte)  non  sono  regole
 assolute, bensi'  criteri-guida  del  nuovo  processo,  e  tendono  a
 contemperare  il  rispetto del metodo orale con l'esigenza di evitare
 la perdita, ai fini della decisione, di quanto, acquisito  prima  del
 dibattimento, sia divenuto non ripetibile.
   In  terzo  luogo tra gli istituti processuali anzidetti si richiama
 anche quello regolato nell'originario art. 513 cpp. A sostegno  della
 incostituzionalita' dei limiti di utilizzabilita' delle dichiarazioni
 utilizzate per le contestazioni nel corso dell'esame testimoniale, la
 Corte in quella pronuncia trae argomento proprio dall'acquisibilita',
 tra  gli altri atti, dei verbali delle dichiarazioni del coimputato o
 dell'imputato in procedimento connesso  o  collegato  che,  esaminato
 nella  fase  delle  indagini,  si  sia  avvalso della facolta' di non
 rispondere nel dibattimento. Cosi'  si  legge  nella  sentenza  della
 Corte:    "se ... e' possibile dare lettura in dibattimento (e quindi
 utilizzare  ai  fini   della   decisione)   di   dichiarazioni   rese
 precedentemente  .......  dal coimputato che si avvale della facolta'
 di  non  rispondere"  e  di  dichiarazioni  rese  da   altri   (teste
 irreperibile,  teste  deceduto,  teste  che  rifiuti  di  rispondere,
 dall'imputato che  afferma  cose  diverse)  non  e'  ragionevole  non
 utilizzare  le  dichiarazioni  predibattimentali  del testimone, gia'
 entrate nel  contraddittorio  dibattimentale  attraverso  il  veicolo
 delle contestazioni.
   Ora,  con  la  nuova  disciplina,  proprio  uno  dei  casi presi in
 considerazione  dalla  Corte  nella  sua  sentenza  come  oggetto  di
 comparazione risulta regolato in modo totalmente diverso.
   Cio'  comporta,  a  giudizio  di  questo  tribunale, due profili di
 irrazionalita'.
   Il primo e' quello della violazione del principio di  conservazione
 di  quanto  acquisito prima del dibattimento. Tale principio, come ha
 insegnato  la  Corte,  e  cosi',  del  resto,  ogni  bene  o  diritto
 costituzionale  tutelato,  va  contemperato  con  altri  confliggenti
 principi di pari grado: e principalmente con  quello  della  garanzia
 difensiva  nella  formazione  della  prova.  Ma  la nuova disciplina,
 perseguendo  soltanto  quest'ultimo,  non  contempera  i  due  valori
 costituzionali  ed  esclude  tout  court  dal materiale probatorio le
 iniziali dichiarazioni del coimputato o degli altri soggetti indicati
 nell'art. 210 cpp. Nonostante che - ed ancora una volta  il  richiamo
 e'  alla  motivazione  della  sentenza  Corte cost. n. 254/1992 - "le
 dichiarazioni  in  esame  sono  soggette  ad  un  canone   valutativo
 particolare  ...  (art.  192.3 e 4 cpp), il quale, nel momento in cui
 circonda di cautela tali mezzi di prova, evidenzia allo stesso  tempo
 ancor   piu'   la   irragionevolezza  di  ipotesi....    di  assoluta
 inacquisibilita' dei medesimi ai fini della decisione".
   Ne' si puo' considerare come  contemperamento  tra  i  confliggenti
 principi la previsione dell'incidente probatorio senza preclusione di
 condizioni,  giacche',  se, da un lato, tale possibilita' consente di
 "fermare" la prova in un momento vicino alle  iniziali  dichiarazioni
 evitando   i  lunghi  tempi  necessari  per  l'esame  dibattimentale,
 dall'altro  lato  nulla  concede  per  evitare  la  perdita  di  quel
 materiale,  quando,  comunque  la  persona  si avvalga in quella sede
 della  facolta'  di  non rispondere. Senza considerare, poi, che tale
 sistema rende sempre meno centrale il  dibattimento.  In  definitiva,
 sotto  questo profilo, si deve dubitare che sia stato in qualche modo
 tutelato quel bene costituzionale individuato dalla Corte.
   Non solo, ma se "fine primario ed ineludibile del processo non puo'
 che rimanere quello della ricerca della verita'"  (finalita'  cui  e'
 stato peraltro attento il legislatore della riforma del 1988), non si
 puo'  non  dubitare  che  le  nuove  disposizioni  di  legge siano in
 contrasto anche con  quel  fine,  se  solo  si  considerano  le  loro
 possibili  conseguenze.  Infatti il nuovo art. 513 cpp ha attuato una
 sorta  di  "relativita'  soggettiva"  della  prova,  introducendo  un
 istituto  alquanto  singolare,  quale  quello  della  utilizzabilita'
 (primo comma) e della acquisibilita' (secondo comma) della prova  per
 consenso  della parte cui essa si riferisce. Cio' ha fatto conferendo
 all'imputato una sorta di potere di  "veto":  espressamente  previsto
 dal  primo  comma per il caso di processo cumulativo, ed analogamente
 previsto, anche se espresso con formula letterale diversa, ma  avente
 lo  stesso  contenuto,  dal  secondo  comma  per  il caso di processi
 separati. Sul punto occorre un chiarimento perche'  le  parole  usate
 non  sono  identiche:  una diversa interpretazione tra "senza il loro
 consenso", nel processo cumulativo, e "con  l'accordo  delle  parti",
 nei  processi  separati,  non  pare  ammissibile  giacche', in questa
 seconda ipotesi, se l'accordo deve esserci, il dissenso di  uno  solo
 e'  sufficiente ad impedire la acquisizione per lettura e, pero', non
 si puo' non limitare l'impedimento processuale alla  sola  parte  che
 non  consenta se non si vuole nuovamente introdurre una diversita' di
 disciplina tra  i  due  casi  costituzionalmente  illegittima;  e,  a
 prescindere  da questo rilievo di coerenza interna della disposizione
 di  legge,  non  si  vede   perche'   dovrebbe   essere   negata   la
 acquisibilita'   e   la  utilizzabilita'  relativa  di  dichiarazioni
 predibattimentali  richieste  dal  p.m.  quando  l'imputato  nei  cui
 confronti  si  intendono  utilizzare  acconsenta,  diversamente dagli
 altri coimputati. Questo potere processuale, sostanzialmente identico
 quindi  nei  due  casi,  e'  conferito  solo  ad  una  delle   parti,
 all'imputato  cioe', con esclusione della parte pubblica: il p.m. non
 potra' mai considerarsi, pure nel caso  di  dichiarazioni  favorevoli
 all'imputato,  il  soggetto  processuale  nei  cui  confronti  quelle
 dichiarazioni possono  essere  utilizzate.    E,  gia'  sotto  questo
 profilo,  si  deve  riconoscere  che  una  parita'  tra  le parti nel
 processo non e' realizzata. Ma, a prescindere da questo rilievo,  sta
 il  fatto  che  la  utilizzabilita' relativa consente, anche nel caso
 piu' semplice, quello di piu' persone imputate dello stesso reato  in
 concorso  tra  loro  - e' questo il caso di specie -, ad accertamenti
 giurisdizionali diversi ed anche opposti pur in presenza dello stesso
 materiale originario di prova, a causa del concreto diverso esercizio
 da parte di ciascuno di quel potere. A seconda che gli imputati  (uno
 od alcuni) consentano o meno la utilizzazione o la acquisibilita' nei
 loro  confronti  la  valutazione  del materiale probatorio portera' a
 opposte conseguenze: si puo' quindi ben ipotizzare che, nello  stesso
 processo,  taluno  venga  condannato  per  avere commesso il reato in
 concorso con altri e questi vengano assolti per non aver commesso  il
 fatto o, addirittura, perche' il fatto non sussiste.
   Ulteriore  profilo di valutazione e' quello che pone a confronto le
 disposizioni anzidette (art. 513.1 e 2 cpp) e le altre  che,  invece,
 consentono  la  utilizzazione ai fini del giudizio delle acquisizioni
 predibattimentali. Il riferimento e' agli artt. 500.4, 511-bis, 512 e
 512-bis: il sistema prevede ampi spazi per tale utilizzabilita'.   In
 alcuni  casi,  quale  quello  del  testimone  che renda dichiarazioni
 testimoniali difformi da quelle predibattimentali, non vi  e'  dubbio
 che non si puo' ravvisare identita' di situazioni con i casi regolati
 dall'art.  513  cpp.  giacche'  li  si  realizza  in  modo  pieno  il
 contraddittorio dibattimentale delle parti nell'esame del dichiarante
 e, qui, la difesa non puo sottoporre la persona citata e comparsa  ad
 alcun  esame.    Ma, in altri, non vi e' dubbio che la situazione sia
 identica ed anzi, sotto il profilo difensivo, talvolta deteriore:  se
 il  testimone  e'  reticente  o rifiuta di rispondere alle domande le
 dichiarazioni predibattimentali possono essere utilizzate,  salvo  il
 criterio  prudenziale  di valutazione probatoria, lo stesso di quello
 previsto dall'art.  192.3 cpp.; se il testimone risiede all'estero  o
 se  e'  divenuto irreperibile, per fatti o circostanze imprevedibili,
 analogamente  le  dichiarazioni  predibattimentali   possono   essere
 utilizzate,  nel secondo caso, senza la necessita' di applicare alcun
 criterio prudenziale e, nel primo caso, alla sola condizione  che  si
 tenga conto degli altri elementi di prova acquisiti.
   In  definitiva  anche  sotto  questo  profilo  si deve rilevare una
 totale diversita' di disciplina, nonostante i criteri di  valutazione
 probatoria  rigorosi  previsti  per  le  dichiarazioni  delle persone
 indicate nell'art.  210 cpp.
   Pertanto il tribunale deve  sollevare  d'ufficio  la  questione  di
 illegittimita'  costituzionale  dell'art. 513.1 cpp per contrasto con
 gli artt. 3.1 e 27.1 Cost.
   In via subordinata, con  riferimento  alla  disciplina  transitoria
 della  legge  n.  267  del  7  agosto  1997, rileva il tribunale come
 anch'essa non si sottrae a  censura  di  legittimita'  costituzionale
 nella parte in cui, nulla prevedendo per casi, come quello di specie,
 cui  non  si  puo'  applicare,  essendo  gia'  conclusa la fase delle
 indagini preliminari,  la  disciplina  transitoria  del  primo  comma
 dell'art.   6,  non  consente,  per  mancanza  delle  condizioni  ivi
 previste, la applicabilita' della disciplina del secondo comma  dello
 stesso  articolo,  che  pure riguarda i processi in corso di giudizio
 alla data della entrata in vigore della legge.
   Infatti la prima disposizione (art. 6.1), con cui si attribuisce la
 competenza al giudice per le  indagini  preliminari  per  l'incidente
 probatorio  da  richiedere  entro  il  termine  di  sessanta  giorni,
 chiaramente delimita l'ambito della sua applicazione ai  procedimenti
 per  cui non sia stato gia' disposto il rinvio a giudizio. La seconda
 disposizione transitoria (art. 6.2), poi, riguarda, si', i giudizi di
 primo grado in corso alla data di entrata in  vigore  della  legge  -
 quale  e'  il  presente  giudizio -, ma presuppone che sia stata gia'
 disposta  la  lettura  delle  dichiarazioni   predibattimentali   del
 coimputato senza il consenso degli altri.
   Si  verifica,  quindi,  un  vuoto  nella disciplina transitoria per
 tutti i giudizi in corso, iniziati prima della legge, per i quali non
 si e' realizzata quella condizione. E  tale  lacuna  non  puo'  certo
 essere  superata,  a  giudizio  del  Collegio, per via interpretativa
 stante la chiara e inequivoca lettera della  legge.  Ne  consegue  la
 disparita'  di  trattamento, dipendente da fattori temporali casuali,
 quali  sono  quelli  della  diversa  progressione  nell'attivita'  di
 istruzione dibattimentale,  non  solo  per  la  acquisibilita'  della
 prova,  ma  anche  per il regime della sua valutazione, giacche', pur
 con le ulteriori limitazioni previste dal quinto comma  dello  stesso
 art.  6, le dichiarazioni predibattimentali di un imputato, in alcuni
 giudizi, possono essere utilizzate  e,  in  altri  (come  accade  nel
 presente), non possono essere utilizzate.
   Tale disparita' - che sembra sia totalmente sfuggita al legislatore
 -  pare  irrazionale,  ai  sensi dell'art. 3.1 Cost., giacche' non si
 ravvisa  alcuna  ragione  perche'   in   situazioni   ontologicamente
 identiche  si debbano applicare discipline cosi' diverse in relazione
 al momento in cui una delle parti (nel caso il p.m.) chieda sia  data
 lettura  delle  dichiarazioni  predibattimentali  rese  dall'imputato
 contumace o da chi si sia avvalso della facolta'  di  non  sottoporsi
 all'esame:    la  disciplina  transitoria,  quindi,  che  consente la
 utilizzabilita' di tali dichiarazioni nei  confronti  dei  coimputati
 ovvero   la   disciplina   dell'art.   513   cpp  che  condiziona  la
 utilizzabilita' al consenso delle altre parti.
   Si tratta, poi, di un vuoto normativo della disciplina  transitoria
 che    pare    debba   essere   risolto,   previa   declaratoria   di
 incostituzionalita', con la applicazione a tutti i casi  di  giudizio
 in  corso  della disposizione prevista dal seconda comma dell'art. 6,
 posto  che  l'altra   disposizione   transitoria   sarebbe   comunque
 inapplicabile  per almeno due incongruenze:  la competenza del g.i.p.
 e la attualita' della fase del giudizio.
   Quanto all'aspetto della rilevanza  della  questione  nel  caso  di
 specie non puo' esservi dubbio alcuno: le dichiarazioni dell'imputato
 Casini  - dipendente con mansioni di magazziniere della Kovest S.r.l.
 - sono chiaramente influenti  sull'accertamento  dei  fatti  e  della
 eventuale responsabilita' dei suoi coimputati. Cio' vale tanto per la
 questione  prospettata  in via principale quanto per la questione che
 si prospetta in via subordinata.
   Tra  le  due  questioni  vi  e'  evidentemente   un   rapporto   di
 subordinazione:    la  declaratoria  di incostituzionalita' dell'art.
 513.1  cpp.  comporterebbe  necessariamente  la   caducazione   della
 disciplina  transitoria;  la  declaratoria  di  costituzionalita'  di
 quella disposizione non precluderebbe la  valutazione  delle  censure
 proposte per la disciplina transitoria.